Il Piano di Zona 2015-2017 si
propone di essere un ulteriore triennio di attuazione degli orientamenti e
delle tesi di fondo che già abbiamo posto alla base della nostra programmazione
zonale.
La direzione che vogliamo prendere è la stessa che abbiamo già
definito: forse dopo tre anni di lavoro abbiamo maggiore chiarezza rispetto
alle caratteristiche del percorso, della fatica di questo tipo di viaggio, ma
anche dei traguardi raggiunti e di quelli che ancora sono lontani, ma non
irraggiungibili.
Proviamo allora a riprendere le nostre tesi di fondo.
·
Crediamo superata la concezione diffusa che attribuisce ai servizi
sociali una funzione salvifica e risolutoria dei problemi delle persone?
Questa "visione" è stata, e
in alcuni casi è, alla base di un intervento
sociale che si connota come "beneficienza", che comporta
il rischio che si ingeneri una dipendenza a scapito dell'autonomia”.
Di certo abbiamo maturato una visione dei servizi sociali che
supera l'illusione di poter "risolvere definitivamente le questioni",
ma quanto c’è ancora da fare per passare
dalla rincorsa alle singole emergenze all’azione sul contesto, per superare
sterili generalizzazioni, per imparare a
leggere e affrontare in modo attivo i fenomeni sociali.
·
Abbiamo
fatto nostro il modello di lavoro sociale che prevede che si impieghino
energie, risorse e tempo lavoro quale
investimento sul potenziale delle persone e delle famiglie che
incontriamo?
Questo
orientamento è
alla base del progetto di riorganizzazione del servizi sociali, delle azioni Patti gener-attivi e Laboratori
di comunità
previste dal progetto Wel(l)FARE legami. Non sempre però riusciamo,
amministratori e operatori, a legittimare e riconoscere come il lavoro sociale debba muoversi verso aree di
intervento non necessariamente segnate da gravità estrema, da “cronicità”, per alzare lo sguardo verso fasce più ampie di popolazione, verso la vulnerabilità diffusa, verso le famiglie e le comunità che non accedono ai servizi, per agire in chiave
promozionale e per costruire ambienti accoglienti anche per chi sta peggio, per
i cosiddetti “gravi”.
·
Nella
realtà dei fatti, al di là delle strategie dichiarate, abbiamo superato l'idea
che il terzo settore ed il privato sociale abbiano un ruolo subalterno e di
supplenza del pubblico?
Pur
nel rispetto dei ruoli, un cambiamento nel modello di lavoro sociale passa
attraverso la costruzione di alleanze tra
istituzioni pubbliche e realtà del privato sociale all'insegna della corresponsabilità.
Già nel 2012
scrivevamo che “ … serve ricomporre la
frammentarietà per
una promozione dei diritti e superando logiche di salvaguardia degli
interessi”. Poi succede che sui tavoli
della co-progettazione come nei percorsi di confronto per lo sviluppo di
progetti e servizi ancora le posizioni siano distanti, permangano forti
interessi particolari, si registrino azioni di mancato coordinamento se non
addirittura situazioni di conflitto. La dove si riescono, invece, a costruire
iniziali piccole alleanze tra pubblico e privato, subito arriva il sospetto di
favoritismo, di manovre escludenti, perdendo di vista la dimensione positiva
dell’incontro per l’interesse comune.
·
Abbiamo
fatto nostra l’idea che il cambiamento del modello di lavoro sociale richiede
che siano costruite alleanze tra tutti i soggetti che compongono la comunità
locale?
Amministratori
e operatori tecnici sono chiamati ad una corresponsabilità attiva, per delle scelte condivise, per una
piena valorizzazione delle competenze e per la contaminazione dei saperi.
Questo
punto chiama fortemente in causa il ruolo degli amministratori rispetto al
presidio delle scelte, alla regia del sistema, alla partecipazione attiva e
diretta nei processi di programmazione e di progettazione del sistema di
welfare. Non si può delegare ai tecnici e gli operatori del settore non possono
operare se non in piena sintonia con una linea strategica definita. Il rischio è di perdere
tempo e occasioni, di sprecare energie e opportunità. Quanto
lavoro per progettare la riorganizzazione dei servizi sociali? Quanti
documenti, studi, analisi? Per poi mandare tutto nel “limbo” dell’ennesima
proroga sulle funzioni associate che ha svuotato di valore un percorso in atto,
come se il venir meno del vincolo rendesse meno importante e necessario il
processo. Non abbiamo avuto il coraggio
di osare oltre l’adempimento, di agire comunque nonostante la proroga, di
portare ad attuazione quanto delineato perché nostro, perché noi ne
avevamo colto il valore.
·
Quanto
è ancora diffusa la visione che
attribuisce il compito di occuparsi delle problematiche sociali ad alcune specifiche componenti quali i
servizi sociali, la cooperazione sociale, le associazioni, il volontariato e le
realtà
caritative?
Il
cambiamento del modello di lavoro sociale richiede un ampliamento della sfera
dei soggetti coinvolti per la promozione del benessere e il coinvolgimento
diretto di nuove realtà quali: le realtà produttive,
le associazioni di categoria, le organizzazioni sindacali, il sistema profit
oltre a tutti i diversi settori della pubblica amministrazione.
Questo
può
diventare uno dei punti di maggior rilievo per il triennio che abbiamo davanti.
Commenti
Posta un commento