domenica 19 aprile 2015

NUOVO PIANO DI ZONA: GLI ORIENTAMENTI

Quale direzione prendiamo?
Il Piano di Zona 2015-2017 si propone di essere un ulteriore triennio di attuazione degli orientamenti e delle tesi di fondo che già abbiamo posto alla base della nostra programmazione zonale.
La direzione che vogliamo prendere è la stessa che abbiamo già definito: forse dopo tre anni di lavoro abbiamo maggiore chiarezza rispetto alle caratteristiche del percorso, della fatica di questo tipo di viaggio, ma anche dei traguardi raggiunti e di quelli che ancora sono lontani, ma non irraggiungibili.
Proviamo allora a riprendere le nostre tesi di fondo.
·         Crediamo superata la concezione diffusa che attribuisce ai servizi sociali una funzione salvifica e risolutoria dei problemi delle persone?
Questa "visione" è stata, e in alcuni casi è, alla base di un intervento sociale che si connota come  "beneficienza", che comporta il rischio che si ingeneri una dipendenza a scapito dell'autonomia”.
Di certo abbiamo maturato una visione dei servizi sociali che supera l'illusione di poter "risolvere definitivamente le questioni", ma quanto c’è ancora da fare per passare dalla rincorsa alle singole emergenze all’azione sul contesto, per superare sterili generalizzazioni, per imparare a  leggere e affrontare in modo attivo i fenomeni sociali.
·         Abbiamo fatto nostro il modello di lavoro sociale che prevede che si impieghino energie, risorse e tempo lavoro quale investimento sul potenziale delle persone e delle famiglie che incontriamo?
Questo orientamento è alla base del progetto di riorganizzazione del servizi sociali,  delle azioni Patti gener-attivi e Laboratori di comunità previste dal progetto Wel(l)FARE legami. Non sempre però riusciamo, amministratori e operatori, a legittimare e riconoscere come il lavoro sociale debba muoversi verso aree di intervento non necessariamente segnate da gravità estrema, da “cronicità”, per alzare lo sguardo verso fasce più ampie di popolazione, verso la vulnerabilità diffusa, verso le famiglie e le comunità che non accedono ai servizi, per agire in chiave promozionale e per costruire ambienti accoglienti anche per chi sta peggio, per i cosiddetti “gravi”.
·         Nella realtà dei fatti, al di là delle strategie dichiarate, abbiamo superato l'idea che il terzo settore ed il privato sociale abbiano un ruolo subalterno e di supplenza del pubblico?
Pur nel rispetto dei ruoli, un cambiamento nel modello di lavoro sociale passa attraverso la costruzione di alleanze tra istituzioni pubbliche e realtà del privato sociale all'insegna della corresponsabilità.
Già nel 2012 scrivevamo che “ … serve ricomporre la frammentarietà per una promozione dei diritti e superando logiche di salvaguardia degli interessi”.  Poi succede che sui tavoli della co-progettazione come nei percorsi di confronto per lo sviluppo di progetti e servizi ancora le posizioni siano distanti, permangano forti interessi particolari, si registrino azioni di mancato coordinamento se non addirittura situazioni di conflitto. La dove si riescono, invece, a costruire iniziali piccole alleanze tra pubblico e privato, subito arriva il sospetto di favoritismo, di manovre escludenti, perdendo di vista la dimensione positiva dell’incontro per l’interesse comune.    
·         Abbiamo fatto nostra l’idea che il cambiamento del modello di lavoro sociale richiede che siano costruite alleanze tra tutti i soggetti che compongono la comunità locale?
Amministratori e operatori tecnici sono chiamati ad una corresponsabilità attiva, per delle scelte condivise, per una piena valorizzazione delle competenze e per la contaminazione dei saperi.
Questo punto chiama fortemente in causa il ruolo degli amministratori rispetto al presidio delle scelte, alla regia del sistema, alla partecipazione attiva e diretta nei processi di programmazione e di progettazione del sistema di welfare. Non si può delegare ai tecnici e gli operatori del settore non possono operare se non in piena sintonia con una linea strategica definita. Il rischio è di perdere tempo e occasioni, di sprecare energie e opportunità. Quanto lavoro per progettare la riorganizzazione dei servizi sociali? Quanti documenti, studi, analisi? Per poi mandare tutto nel “limbo” dell’ennesima proroga sulle funzioni associate che ha svuotato di valore un percorso in atto, come se il venir meno del vincolo rendesse meno importante e necessario il processo.  Non abbiamo avuto il coraggio di osare oltre l’adempimento, di agire comunque nonostante la proroga, di portare ad attuazione quanto delineato perché nostro, perché noi ne avevamo colto il valore.  
·         Quanto è ancora diffusa la visione  che attribuisce il compito di occuparsi delle problematiche sociali ad alcune specifiche componenti quali i servizi sociali, la cooperazione sociale, le associazioni, il volontariato e le realtà caritative?
Il cambiamento del modello di lavoro sociale richiede un ampliamento della sfera dei soggetti coinvolti per la promozione del benessere e il coinvolgimento diretto di nuove realtà quali: le realtà produttive, le associazioni di categoria, le organizzazioni sindacali, il sistema profit oltre a tutti i diversi settori della pubblica amministrazione.

Questo può diventare uno dei punti di maggior rilievo per il triennio che abbiamo davanti.

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